Mille volte, vinceremo
Un gruppo di mapuche in sciopero della fame per chiedere giustizia per il suo popolo
Peacereporter (Italia). Aprile 2005
Dieci anni di carcere e il pagamento di 570mila euro è la condanna che pende sulla testa di sei rappresentanti della comunità mapuche, accusati di essere responsabili di un attentato incendiario ai danni di una piantagione della società Forestal Mininco.
“Vogliamo giustizia”. Florencio e Juan Patricio Marileo, Patricia Troncoso, Juan Huenlao, Jorge Manquel e Jaime Huenchullan sono reclusi nel carcere d’Angol (Regione dell’Araucania) e hanno protratto per 25 giorni uno sciopero della fame, sospeso pochi giorni fa dopo che cinque di loro sono stati ricoverati nell'infermeria del carcere. Ma non si arrendono. Dopo questa necessaria sospensione assicurano che, se non verranno ascoltati dall’autorità, ricominceranno con la protesta.
Le ragioni? Esigono, per loro e per gli altri detenuti mapuche, un giudizio equo che rispetti i loro diritti.
I comuneros, infatti, sono stati giudicati e condannati grazie alla legge antiterrorista ereditata della dittatura di Pinochet, la quale prevede un processo con rito abbreviato e accetta come prove giuridiche persino testimonianze anonime. Per questo il gesto estremo.
Dopo tre settimane di sciopero, è arrivata anche la denuncia delle famiglie che accusano l’autorità politica e giudiziaria locale di non accettare nemmeno le visite di dottori indipendenti per certificare la salute dei detenuti.
Il fondo bruciato nel 2001 rientra nell’insieme delle terre reclamate dai mapuche, da sempre abitanti di queste zone. In particolare, si tratta della terra ancestrale della comunità di Tricauco a cui è stata strappata dopo la riforma agraria del 1973. Nel 1977, con la dittatura militare, è stata poi acquisita dall’impresa Forestal Mininco S.A, di proprietà del gruppo Matte, uno dei gruppi economici più potenti del paese.
Il lato oscuro del modello forestale cileno. Secondo la privata Corporazione Cilena della Legna, CORMA, nel 2004 le esportazioni forestali cilene hanno superato i 3mila milioni di dollari, e per il 2010 si stima che diventino 6mila milioni.
Dal punto di vista della macroeconomia del “miracolo forestale cileno” dunque niente da dire, ma tutto si complica non appena si va a toccare il discorso sulla proprietà della terra.
All’arrivo degli spagnoli nel sud dell’America Latina il popolo mapuche abitava parte degli attuali Cile e Argentina. In Cile, dopo anni di lotta i mapuche vennero spinti al sud. Tramite l’occupazione militare alla fine del XIX secolo, furono inglobati nello stato nazionale con titoli di dominio comunitario sulle loro terre. Negli anni 60, la cultura ancestrale mapuche, che si fonda sulla cosmogonia fra terra, vita e fede, venne destabilizzata. Tra il 1973 e il 1989 la divisione e la perdita delle terre mapuche beneficiarono i grandi latifondisti impegnati nello sviluppo del modello neoliberale.
E ora. Oggi, i mapuche sono 7milioni (il 4,6 per cento della popolazione del Cile) e l’87 per cento abita a sud del Paese, nella regione dell’Araucania. È proprio qui che si registrano i principali conflitti d’interesse tra comunità indigene e società private, col sostegno dello stato cileno, per il quale lo sviluppo forestale è una politica di stato.
Ma il “conflitto mapuche” ha diverse facce. La principale è legata alla proprietà della terra, sulla quale la popolazione ha diritti ancestrali. Ma esistono anche argomenti ecologici e politici. Il tentativo delle multinazionali di fare fuori la foresta nativa per sostituirla con redditizie piantagioni di pini ed eucapilptus, si traduce in erosione e sovraconsumo di acqua sotterranea, ha effetti negativi sui sistemi alimentari, in mancanza di fauna autoctona e problemi di salute (avvelenamento da pesticidi, morte della vegetazione del sottobosco usata per medicine e rituali religiosi).
Un grido di vittoria. Le comunità mapuche denunciano lo stato cileno per discriminazione, persecuzioni politiche, atti terroristici, violenza poliziesca e giudizi illegali.
E promettono: al grido ancestrale “Marichiweu!”… mille volte vinceremo.
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